Il riscaldamento globale si sta rivelando il principale nemico degli alimenti tipici della nostra cucina. Vino sempre più alcolico, olio d’oliva che scarseggia… cosa sta accadendo alla nostra terra e sulle nostre tavole?

Quando parliamo di global warming (riscaldamento globale) pensiamo a qualcosa di lontano da noi, come per esempio le sottili calotte polari. Eppure il cambiamento climatico, la desertificazione e la siccità stanno intaccando sempre di più le risorse agricole e alimentari, influenzando di conseguenza il sapore e il valore nutrizionale dei cibi a cui siamo abituati.

Per comprendere al meglio come tali cambiamenti modificheranno l’agricoltura italiana, il Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali ha finanziato Agroscenari , progetto che intende individuare modalità sostenibili di adattamento ai cambiamenti climatici dei principali sistemi produttivi dell’agricoltura italiana, sia su scala locale che nazionale.

Tra le regioni di interesse del progetto Agroscenari troviamo la Pianura Padana , territorio caratterizzato da una grande concentrazione di allevamenti. Con l’aumento del rischio di siccità sarà necessario sostituire la coltivazione di mais, presente in questa zona, con quella di orzo, che richiede meno acqua e cure. Di conseguenza cambierà anche il mangime del bestiame, modificando i prodotti da loro derivati. Ma tutto il male non viene per nuocere, pare, infatti, che la farina di orzo come alimento principale dei suini riduca gli acidi grassi presenti nei salami da essi ricavati. L’unico problema sarà il conseguente aumento di prezzo, essendo l’orzo più costoso del mais.

Meno rosea sarà la situazione per gli allevamenti di polli. Questo è quanto affermato da Laszlo Babinszky , del Dipartimento di Biotecnologie alimentari dell’Università di Debrecen. Secondo il ricercatore ungherese il metabolismo dei polli in condizioni climatiche ad alta umidità e superiori ai 30 gradi subirebbe dei gravi scompensi ; il conseguente aumento di radicali liberi, dovuto alle condizioni climatiche estreme, andrebbe infatti a incidere sulla qualità della carne, che risulterebbe meno soda, meno proteica e più grassa.
Babinszky ci avverte inoltre come l’aumento delle temperature rischia di causare una netta riduzione nella produzione di latte vaccino e un impoverimento delle carni bovine , sempre più dure, grasse e meno proteiche.

Nemmeno la nostra tanto amata pasta rischia di salvarsi. Secondo quanto emerso dal progetto "Duco" sul grano duro, condotto dal Cra in collaborazione con l’Enea e il Cnr, l’aumento della concentrazione della CO2 favorisce la crescita della pianta, ma ne riduce al contempo la percentuale di proteine, che oltre ad essere un importante nutriente, rende la pasta più resistente alla cottura.


Possiamo quindi dire che in futuro diminuiranno i valori proteici di molti alimenti da noi ingeriti. Come fare? Sicuramente bisognerà modificare la nostra alimentazione e ridurre il consumo di carne.


Ma le proteine?

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