L'abitudine maggiormente diffusa in tema di esposizione al sole è quella di utilizzare creme protettive anti UV-B e anti UV-A: il livello di conoscenza dei prodotti solari sta progressivamente aumentando, ma c'è ancora molto da fare. Da una ricerca commissionata da un noto marchio di solari è emerso che su 10 solari acquistati solo 1 sia un integratore. Quali sono le ragioni di questo comportamento? La psicologia ci viene in aiuto e ci suggerisce che il gesto di spalmarsi la crema riconduca alle carezze materne, mentre la consapevolezza dell'importanza di un comportamento corretto oggi per trarne beneficio in seguito ci riporta a un codice paterno più perentorio e meno affettivo. Esistono anche ragioni sociologiche: la società di oggi è improntata sulla velocità, su tempi di attesa molto ristretti e questo a discapito di azioni e comportamenti che richiedono tempo perchè portino risultati. Gli integratori sono in contro tendenza rispetto al mondo che va veloce: la loro assunzione in supporto ad un'abbronzatura salutare va effettuata un paio di mesi prima dell'effettiva esposizione, richiedono tempo e costanza. Il consumatore medio sembra non avere nè tempo nè costanza, ma il "tutto e subito" a cosa conduce? Scottature, eritemi, macchie e possibili discromie. Non vale la pena soffermarsi e cambiare abitudini di acquisto per garantirsi un'estate meno bollente?